Intervista
a Simone Cristicchi, protagonista con l’Orchestra della Magna Grecia
«La disattenzione è il problema principale. “Avere cura” può sembrare uno slogan, in realtà deve essere un modo di vivere». Tre “sold out” in due giorni. Grande partecipazione del pubblico, invitato a cantare “Io che amo solo te”. I successi del cantautore, da “Vorrei cantare come Biagio” a “Ti regalerò una rosa”, dedicata a Cosimo Antonio Stano.
Grande successo per Simone Cristicchi e lo spettacolo “Abbi cura di me” portato in scena per tre volte in due giorni (sabato scorso un matinée per le scuole) con l’Orchestra della Magna Grecia diretta da Valter Sivilotti all’interno della Stagione orchestrale 2019/2020 con la direzione artistica del maestro Piero Romano. Ospite, applauditissima, la cantante Amara, autrice di successi, fra questi “Che sia benedetta”.
Cristicchi, partiamo dal titolo del suo spettacolo, “Abbi cura di te”.
«Il problema principale del momento storico in cui viviamo è la disattenzione, che genera indifferenza. “Avere cura” può sembrare uno slogan, in realtà è un modo di vivere, un ritorno all’essenza, alle priorità: cosa ci serve per essere davvero felici? Alla fine avvertiamo la sensazione che a renderci felici siano poche cose, una di queste è lo stare attenti; non farsi pregare, non farsi addormentare dal frastuono del mondo. Ai ragazzi cerco di comunicare questo: state attenti, rivolgete l’animo verso qualcosa che è fuori di voi, non siate egoisti e attenti al solo vostro orticello. Cominciate, invece, ad immaginare come può essere il mondo e come, questo, può cambiare: il potere, in qualche modo ci addormenta, ci fa sentire inutili, come se ogni nostra azione, ogni nostro pensiero, scelta, non abbia valore».
Tutto è interconnesso, dunque.
«Invece, ogni nostro sorriso, una piccola azione che possiamo compiere nella nostra vita, può cambiare una giornata. E quindi, figurarsi in un territorio come questo, essere gli uni vicini agli altri, consapevoli di partecipare a una comunità che non è virtuale, ma reale, che si può toccare con mano. Così i social diventano solo uno specchio per le allodole. Lo slogan iniziale di Facebook di quel genio di Mark Zuckenberg era “Mai più soli”. Invece, paradossalmente, siamo diventati più soli. Ci siamo chiusi in noi stessi, schiavi di un telefonino, tanto che oggi è difficile trovare l’essenza a cui mi riferisco: tornare all’umanità, alle poche cose che davvero ci servono per sentirci vivi».
Più della musica, le parole.
«Sono sempre stato attratto dalla forza della parola. Proprio lo spettacolo “Abbi cura di me” è dedicato alla forza, alla potenza della parola, del messaggio che questa riesce a trasmettere. Dice Amara, che ho il privilegio di ospitare nei miei concerti: “la responsabilità del microfono”. Ha perfettamente ragione: avere fra le mani questo strumento non è cosa scontata; salire su un palco significa poter toccare certe corde, andare in profondità, smuovere gli animi, soprattutto quelli dei giovani. Lo scopo è riuscire a dare messaggi che siano riflessioni all’interno di un concerto; vero, si assiste a una esecuzione orchestrale meravigliosa, però l’attenzione deve essere rivolta a questa parola che può davvero cambiare il corso della vita».
Chi ha ispirato Cristicchi.
«I miei padri sono stati i cantautori: De André, De Gregori, Battiato, Fossati, artisti che con le loro parole hanno cambiato il mio modo di guardare il mondo. Ed è ciò che cerco nel mio piccolo: riprodurre sensazioni simili. Endrigo, poi, è stato in qualche modo il mio mentore; con me condivise un duetto nel mio album di esordio. Sono molto affezionato a lui, con l’Orchestra della Magna Grecia propongo “Io che amo solo te”, che però faccio cantare alla sola platea: un’esecuzione speciale per orchestra e pubblico. Altro omaggio, “Emozioni” di Battisti, che con Mogol ha impresso una bella scossa alla canzone italiana».
Parliamo di fragilità, un tema del quale si occupa spesso.
«Siamo esseri umani, dunque se viviamo non possiamo non avere riportato delle ferite: alcune di queste, ferite profonde, le ricordiamo: quando eravamo nella pancia materna percepivamo già che atmosfera ci fosse in casa; se ti avevano desiderato, se esisteva armonia: ferite, proprio così, ce le portiamo dietro e dobbiamo avere il coraggio di trasformarle in qualcosa di bello da condividere con gli altri.
Ripeto spesso: non siamo venuti al mondo per essere perfetti, ma per essere veri, e quando ti togli quella maschera di perfezionismo diventi più forte: perché sei te stesso e nessuno può distruggerti. Ho perso mio padre a dieci anni, un dolore che mi ha spinto a chiudermi in me stesso, nella mia stanza. Ma è proprio lì che ho scoperto la cura, la terapia dell’arte; per curare questa grande ferita ho cominciato a disegnare, raccontare, scrivere storie e racconti, e da lì in poi, la musica, le canzoni. Come dice un mio amico, Ermes Longhi: da una ferita può nascere una feritoia e da questa puoi riuscire a vedere l’infinito che esiste oltre. Anche Leonard Cohen dice “in ogni cosa c’è una crepa ed è da lì che passa la luce”, parole sacrosante».
Nei suoi spettacoli, tributi ai grandi della canzone. Prevede altri progetti simili?
«Per ora no, ho reso omaggio a Sergio Endrigo con uno spettacolo dedicato interamente lui, poi a “La Buona novella”, quarto album di De André; oggi, avendo fra le mani un repertorio che rappresenta il mio cammino artistico, riesco spesso ad ospitare contributi di altri artisti. Così capita di cantare “Vorrei cantare come Biagio” e “Abbi cura di me”, due opposti: la prima, divertente, ironica, scanzonata, tormentone dell’estate; l’altra, una sorta di preghiera. E, in mezzo, un intero percorso che mi piace raccontare al pubblico».
Amara, sua ospite, bella scoperta per il pubblico.
«L’ho conosciuta la scorsa primavera. Ci siamo incontrati ad Assisi e da lì è nata l’idea di invitarla a cantare in un mio concerto a Firenze: ci sono pochi artisti con cui sento la stessa vibrazione e la stessa voglia di trasmettere dei messaggi forti. Io e Amara siamo sulla stessa frequenza e cerchiamo di bilanciare le nostre due personalità; invitarla sullo stesso palcoscenico e collaborare a questo progetto, per me è una cosa naturale: è lei che fa un regalo a me: i suoi messaggi sono un po’ anche i miei, e i miei sono un po’ anche i suoi. E credo che questo si senta».
La canzone, strumento potentissimo.
«In tre minuti riesce a smuoverti quello che hai dentro, a farti sentire delle emozioni, a trascinarti dentro una storia. “Ti regalerò una rosa” è l’esempio, il mio manifesto: raccontare una storia e mettere al centro che non ha voce, chi è privo di visibilità, in questo caso gli emarginati; ognuno di noi potrebbe cadere nella follia da un momento ed è proprio questo che ci spaventa nella malattia mentale. Dunque trovo interessante utilizzare il palcoscenico, mettere in luce queste realtà di cui poco si parla e dire “Esiste Antonio Cosimo Stano!”, uno dei miei “santi silenziosi”, a volte agnelli sacrificali che muoiono per risvegliarci. Nei miei concerti dedico spesso questa canzone all’anziano disabile picchiato selvaggiamente a Manduria, che il caso ha voluto si chiamasse proprio come il protagonista di “Ti regalerò una rosa”: mi piace pensare a Cosimo come al protagonista di questo brano, che vola finalmente libero, ora che ha fregato tutti trasferendosi in un’altra dimensione. Chi ha compiuto quell’aggressione ha sì una grande responsabilità, ma è anche il mondo ad averne una enorme: che mondo abbiamo costruito, che mondo stiamo dando a questi ragazzi se poi compiono questo tipo di azioni? Cosa ci ha portati all’indifferenza, che poi è il male del momento storico che stiamo vivendo?».